Siamo sempre co-creatori della realtà che viviamo, e, se rimaniamo nelle frequenze del trauma vissuto o acquisito nelle memorie ancestrali, continuiamo ad alimentare negativamente le esperienze che attraiamo..
Nella nostra vita quotidiana probabilmente accettiamo con disinvoltura l'intercalarsi del giorno con la notte, della luce con il buio, forse un po' meno quello del caldo con il freddo, ma tutti possiamo sentirci in difficoltà ad accogliere la sofferenza con la stessa naturalezza con la quale accettiamo la gioia.
Quasi sempre viviamo i momenti di sofferenza in uno stato di CONTRAZIONE, quasi questo ci permettesse di NON SENTIRE.
Difficilmente il nostro respiro è ampio e profondo, come in realtà è quando siamo neonati, proprio perchè trattenendo le emozioni impariamo via via a respirare in modo sempre più superficiale.
La gioia invece viene da noi sentita come un'emozione estremamente positiva che vorremmo mantenere il più lungo possibile.
La gioia invece viene da noi sentita come un'emozione estremamente positiva che vorremmo mantenere il più lungo possibile.
Questo è talmente radicato in noi che anche nel nostro lessico sono consuete espressioni del tipo:
trattenere il fiato per la paura
trattenere il respiro per l'agitazione
trattenere il respiro per l'agitazione
Vivere la sofferenza in uno stato di contrazione e aggrapparci alla gioia sperando di conservarla il più a lungo possibile, crea in noi tensione, ansia, solitudine, depressione, così non siamo più in armonia con noi stessi e nei confronti della vita.
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